Il restauro, in altri termini, non può risolversi in una mera giustapposizione di elementi architettonici, o più semplicemente di materiali. Al contrario, deve integrarsi con l'originale: proprio per questo, la scelta e la collocazione hanno un ruolo importante, che in parecchi casi non è azzardato definire decisivo. Gli interventi innovativi, per quanto necessari, possono indurre effetti estranei allo spirito dell'opera, e vanno governati con attenzione e sensibilità.
Recuperare e quindi restaurare, vuol dire rispettare e prevenire ogni pur comprensibile tentativo di ottimizzare il manufatto, da rifiutare in quanto sostanzialmente retorico, vale a dire privo di autenticità. Quindi, bisogna assumere un atteggiamento umile nei confronti dell'opera originale, anche quando implica la sua ricostruzione (1).
Nei casi di maggiore impegno, il restauro non prescinde dalla reintegrazione dei pezzi mancanti od irrimediabilmente danneggiati. Va da sé che in queste fattispecie la scelta del materiale sostitutivo ed il recupero programmato di quello originario, disperso da eventi naturali o da fattori traumatici di altro genere, diventano momenti propedeutici determinanti, al fine di conseguire un risultato conforme.
In questa sede si ritiene sufficiente il riferimento ad alcuni casi emblematici, selezionati alla luce di fattori tecnici, ambientali e simbolici che ne suffragano un carattere particolarmente significativo. Ciò, anche per quanto riguarda i materiali utilizzati ed in modo specifico per la pietra.
La Cattedrale di Dresda, distrutta nel bombardamento del 1945 e ricostruita dopo lunghissima attesa grazie ad un paziente lavoro di catalogazione e recupero computerizzato che ha coinvolto circa 13 mila pezzi, è risorta utilizzando oltre due terzi della struttura lapidea originaria, mentre il fabbisogno residuo è stato soddisfatto tramite approvvigionamenti dalle stesse cave di arenaria della contigua Boemia, che avevano provveduto alla fornitura iniziale.
Il metodo utilizzato a Dresda è stato, come altrove, quello di anastilosi, che consiste nel massimo recupero possibile degli elementi architettonici, in modo che ogni pietra vada a ritrovare, sin dalla fase di verifica in cantiere, la propria posizione primigenia, e quindi gli stessi allineamenti, le grappe di ancoraggio, e per quanto possibile la medesima finitura della superficie in vista. Si deve aggiungere che la ricostruzione in parola è stata un alto esempio di cooperazione popolare, ancor prima che tecnica ed istituzionale, perché ha avuto luogo con il contributo, generalmente modesto ma di ovvio valore simbolico, di tanti cittadini, fedeli e visitatori.
Un caso relativamente più semplice è quello del Tempio di Augusto a Pola, anch'esso colpito da una bomba che lo aveva centrato in pieno durante l'ultimo periodo bellico. L'opera sembrava difficilmente recuperabile perché aveva riportato danni assai gravi, in specie nelle colonne e nella trabeazione, ma venne riportato all'antico splendore con una sorta di valore aggiunto costituito dalla visibilità delle ferite occorse alla struttura lapidea originaria. L'opera di ripristino, con utilizzo di un materiale tipico come la pietra dell'Istria, fu particolarmente impegnativa, a cominciare dalla ricostruzione di pezzi complessi quali fregi e capitelli, senza dire che venne compiuta fra il 1946 ed il 1947 in regime di stretta economia, stanti le ristrettezze dell'epoca: addirittura, senza impalcature metalliche e con il solo supporto di cavi d'acciaio per il sollevamento dei pezzi, che costituì la sola vera apprezzabile differenza rispetto alle dotazioni del cantiere originario, nel primo secolo dopo Cristo (2).
Si deve soggiungere che nel restauro del Tempio di Augusto, compiuto a cura della Soprintendenza di Trieste, il carattere autentico dell'opera ha un valore che trascende il contesto pur suggestivo della rinascita architettonica di un antico e nobile monumento, per acquisire contenuti umani e culturali davvero coinvolgenti, qualora si pensi che i lavori vennero effettuati quando era già stato ufficializzato, per effetto del trattato di pace del 10 febbraio 1947, il trasferimento del capoluogo istriano sotto la sovranità jugoslava, a far tempo dal 16 settembre.
Attenzioni specifiche debbono essere attirate, infine, sulla ricostruzione del Friuli dopo gli eventi sismici del 1976, finalizzata a salvaguardare e recuperare l'identità culturale della regione, con interventi di grande impatto a Gemona, ad Osoppo ed in modo speciale a Venzone (3), dove il recupero del centro storico e della Cattedrale è diventato un preciso punto di riferimento per il restauro di livello. In questo caso, al pari di quelli già citati di Dresda e di Pola, la scelta del materiale lapideo si è orientata sull'opportuna valorizzazione dei prodotti locali, con riguardo prioritario al marmo grigio carnico ed alla pietra piasentina: è inutile precisare che si tratta di litoidi in possesso di valide referenze, spesso plurisecolari, che diventano protagonisti del restauro in quanto superano la prova del tempo anche a fronte di danni apparentemente irrimediabili.
A Venzone, dove i lavori si sono conclusi soltanto nel 1996 dopo un'attenta opera di catalogazione che nel caso della Cattedrale ha reso necessaria la compilazione di oltre ottomila schede (una per ciascuna pietra recuperata i cui dati sono stati elaborati al computer), è stata utilizzata la prassi ormai consolidata di anastilosi, arricchita dall'attenzione culturale per ciascun pezzo e dal lavoro specializzato svolto dall'apposito Laboratorio di restauro della pietra, costituito sin dal 1981. Giova precisare che alla fine il materiale innovativo non ha superato un quinto del totale.
Concludendo, si può ben dire che nell'architettura contemporanea il restauro ha assunto una dignità ed un ruolo del tutto peculiari, che trascendono la sfera strettamente funzionale delle manutenzioni, peraltro necessaria, per accedere a quella di un'arte che non appartiene al solo momento estetico dello Spirito, perché manifesta l'idoneità a coinvolgere compiutamente quello etico.
carlo montani
carlomontani@alice.it
(1) - G. Pavan, Annotazioni sul restauro architettonico, Consorzio per la salvaguardia dei castelli storici del Friuli - Venezia Giulia, Udine 1985. Cfr. altresì: R. Strassoldo, Le Carte del restauro: criteri per gli interventi di recupero dei beni architettonici, Forum, Udine 2007, pagg. 32-35.
(2) - G. Pavan, op. cit., pagg. 38-40.
(3) - R. Cacitti, Venzone: la ricostruzione di un centro storico, Associazione Amici di Venzone, Arti Grafiche Friulane, Udine 2006.