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IL MULINO DEL MARMO

04. March 2007 19:27
(last updated: 21. February 2010 18:13)
Pubblicato in TECNOLOGIA

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La storia di un mulino, un telaio da blocchi ad acqua, un po’ particolare, svizzero per pochi metri, perchè posto al di là del confine che divide Mendrisio da Varese. Fra la metà del 1800 e l’inizio del 1900 lunga è la tradizione dell’estazione nelle cave e della lavorazione del marmo. Ad Arzo, comune di confine posto sul lato svizzero, erano attive ben 5 segherie molto apprezzate nell’intera regione subalpina che acquisivano pietre anche dalle vicine cave di Saltrio, di Viggiù e di Brenno lato italiano.

Ne sono la testimonianza le note storiche che esaltano quest’attività tipica per il Comune di Arzo che terminò a seguito del blocco doganale austriaco della seconda metà dell’ottocento. Come la maggior parte delle attrezzature industriali di allora il meccanismo si muoveva per merito di una ruota idraulica che trovava la giusta quantità d’acqua nel torrente Gaggiolo. Il luogo per il suo spumeggiare fu chiamato “Murinell”. La segheria di pietra del Murinell, unica superstite seppur sotto forma di rudere, costituisce l’ultimo esempio, non solo ad Arzo ma dell’intera Svizzera e del nord Italia, diquesto particolare processo di lavorazione a mezzo di energia idraulica. Di proprietà della famiglia Allio di Arzo è rimasta in esercizio fino all’inizio degli anni sessanta poichè oltre a muovere, da un lato la macina della farina, dall’altro lato trasmetteva movimento di una sega a sabbia per il taglio dei blocchi provenienti dalle vicine cave oltre a un tornio per la fabbricazione delle colonne e un’altra macina per produrre polvere di marmo da unire alla malta in alternativa alla sabbia per la segagione. Marmo e pane erano significativamente uniti nel cortile orientati parallelamente al corso del Gaggiolo. Da parte italiana si ricorda che questo fu il primo telaio “moderno” da marmo. I rustici alti due piani sono tuttora divisi da un settore più antico con poche aperture, dove erano sistemate stalle e altri locali per le attività rurali. Sotto i porticati un secondo settore in muratura e solette di legno era adibito a segheria del marmo con un’ambiente occupato dal telaio ed altri dedicati alla lavorazione dove forse si trovava il tornio ed il deposito del materiale. Quello più moderno ospitava la macina per marmi ed il mulino. Sulla facciata verso il torrente operavano le tre ruote idrauliche. La più grande di diametro 4,5 metri, una larghezza di 0,52 e una caduta d’acqua di 4,50 metri per il marmo. Le due più piccole del diametro di 3 metri, una larghezza di 0,37 e una caduta di m 5,20 per il mulino. Sulla parte opposta del Gaggiolo é ancora visibile una piccola cava di calcare rosso che dava il materiale da segare. e sono tuttora visibili una parte degli ingranaggi di legno mentre quelle di ferro dei meccanismi sono state rimosse e vendute dopo la cessazione dell’attività. Tra le rare immagini rimaste è tuttavia interessante soffermarsi su alcuni particolari tecnici come i dispositivi per bagnare le ruote. Mauro Gilardi ha ripercorso sulla rivista “Terra Ticinese” del 3 giugno 1991 questa lunga storia di questa segheria raccontando del lavoro di Arzo, Besazio, Meride, Tremona comuni della Montagna del San Giorgio uniti in glorie e miserie. Altrettanto ha fatto in Italia, il comune di Viggiù. Storie totalmente uguali di scalpellini costretti a emigrare, chi a Milano, chi a Zurigo e poi in Germania, in Russia, in America, nei più lontani luoghi del mondo. Racconti che Giovanni Piffaretti riporta in chiave svizzera ne: Le maestranze d’arte dei paesi della montagna, tra il quindicesimo e il diciottesimo secolo e Beppe Galli e Giuseppe Scavone raccontano in chiave italiana in “Andare e venire, le trafile migratorie. Storie assolutamente identiche che ci fanno rivivere questo pionerismo industriale, alla luce dei numerosi documenti trovati negli archivi locali e nei luoghi che ne testimoniano il lavoro. Nuovi documenti datati ottobre 2006 parlano ora di un restauro del mulino e dell’ex segheria del marmo ora in fatiscente stato d’abbandono.

Il progetto rientra in un corposo programma di iniziative collegate ad “Interregg”, il programma comunitario che riparte dal 2007 per favorire la collaborazione transfontaliera ed il rilancio culturale, turistico e produttivo dell’area del Monte San Giorgio recentemente dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità e sostenuto tra le varie comunità, anche dall’Associazione marmisti della Regione lombardia. Progetto che prevede anche la promozione dell’esemplare geologia del Monte San Giorgio e le sue numerose formazioni rocciose che testimoniano di processi e ambienti di formazione o deposizione estremamente diversi e significativi. Sul monte si contano all’incirca 18 diverse litologie caratteristiche e tipiche per situazioni particolari: rocce cristalline, vulcaniche, sedimentarie transizionali continente-mare, marine, di scarpata continentale, di origine fluvioglaciale ecc. ecc. La loro composizione petrografica è molto eterogenea e, per di più, molto variegata nei colori. In questo caso l’obiettivo è quello di allestire una collezione comprendente tutte le litologie presenti con campioni di roccia e tutti i vari riferimenti riguardanti la promozione della pietra ed in generale di attività legate alla coltivazione storica ed attuale delle cave come potenzialità di sviluppo in settori ben precisi quali il turismo, l’agricoltura e l’artigianato locale. Dunque la pietra protagonista di un progetto di rilancio di un’intero territorio.
L’Unione Europea ha emesso 3 programmi consecutivi per il cofinanziamento di studi e realizzazioni infrastrutturali di opere transfrontaliere tra Italia e Svizzera; due programmi sono già completati mentre il terzo, che deve essere ultimato per parte italiana entro il 2006, e per parte svizzera entro il 2007, deve essere gestito in collaborazione paritetica con i corrispondenti Enti svizzeri. Il Programma INTERREG IIIA, approvato dalla Commissione europea con decisione C (2001) 2126 del 12 settembre 2001, punta al perseguimento di strategie congiunte di sviluppo territoriale sostenibile in grado di incidere sensibilmente sui processi di cooperazione, al fine di favorire la progressiva integrazione socioeconomica dell’area e contribuire alla valorizzazione del patrimonio naturale e culturale comune. La strategia del Programma ha individuato un obiettivo globale unico: “Contribuire al rafforzamento del processo di cooperazione transfrontaliera, favorendo l’integrazione delle aree di confine, stimolando uno sviluppo equilibrato e duraturo nel rispetto della salvaguardia dei delicati ecosistemi alpini e incrementando gli scambi tra le aree di confine sia a livello istituzionale che economico e sociale”.
Le piccole cascate dei fiumi e dei molti torrenti che discendono con una portata presente tutto l'anno dalle prealpi sono state il motore energetico della rivoluzione agricola del secondo millennio, questo antico esempio potrebbe oggi fare da esempio per una riscoperta dei vecchi mulini a pale intesi come generatori di corrente a basso costo di investimento posti sulle presistenti cascatelle dei molti corsi d'acqua e canali di una regione dove il ricorso all' eolico e al solare e' limitato dalle condizioni metereologiche di una valle nebbiosa di inverno e poco ventilata d' estate.



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