Alle sedici e quarantadue del 31 maggio 1906 arrivava a Domodossola lultima diligenza del Sempione partita alle sei e mezza del mattino da Briga: aveva impiegato più di dieci ore per percorrere la strada del Sempione che dal 1805 collegava il Lemano con il Verbano La strada del Sempione percorsa dai viaggiatori, che lavevano scelta per valicare le Alpi attraverso scenari di creste e picchi maestosi di nubi e di neve nel romantico Gran Tour, ben narrato da grandi firme come Stendhal, da Charles Dickens e Alessandro Dumas, cedeva il passo alla strada ferrata che univa molto più rapidamente il Verbano al Rodano.
Infatti pochi giorni prima, il 19 maggio 1906, con la partecipazione del Re dltalia e del Presidente della Confederazione Elvetica era stata ufficialmente inaugurata la Galleria del Sempione che, con i suoi 19,8 km era fra le più lunghe del mondo. Erano trascorsi sette anni di duro lavoro per scavare il traforo nel duro granito al centro di un arco di rocce silicee che inizia alle sorgenti dellAdda fino alle sorgenti del Po ai piedi del Monviso. Il passo e la galleria del Sempione il Monte Leone che è al centro di questo arco coronato dai quattromila: Bernina, Monte Rosa, Cervino, Monte Bianco, Gran Paradiso. Un arco abitato da gente pratica, di abitudini regolari, gente di montagna, dura, tutta dun pezzo, forte come il granito, forte come il nebiolo: il vitigno del granito: che conserva le proprie caratteristiche pur assumendo diverse denominazioni in località diverse.
Uomini che estraggono il granito dalle montagne non già ferendole ma aiutandole a partorire questa nobile roccia, base di una cultura che si è espressa nelle costruzioni e nelle arti figurative. I graniti, come i marmi, lasciano unimpronta determinante nella storia millenaria delluomo: quando essi prevalgono sul ferro, allora cè pace; quando le fucine sudano per preparare armi per questi simboli di civiltà non cè più spazio . Soltanto nei periodi di pace luomo può cogliere il frutto del suo tenace lavoro in cava come nei campi; dietro ogni ondata di ferro distruggitore, gli uomini di buona volontà riedificano con i marmi ed i graniti i monumenti alla civiltà e dalle viti reimpiantate nei campi, teatri di cruente battaglie, traggono la forza per continuare a credere nei sani valori del convivio.
Un arco dove alligna un unico vitigno: il nebiolo (nebiolo o nebbiolo :la grafia è incerta, ma prevale in genere la prima) padre di tanti vini caratterizzati da una buona gradazione alcolica e acidità che, unite allaroma ed alla finezza di gusto li rendono adatti alla conservazione, necessaria per arrotondarne le punte. Variabilità intravarietale: il vitigno è caratterizzato da una notevole variabilità fenotipica dovuta probabilmente ad una antica moltiplicazione per seme, allaccumulo delle mutazioni e alla presenza di virus, che si manifesta con una eterogeneità di caratteri morfologici sia a carico degli organi vegetativi che riproduttivi. Questa variabilità permette di osservare nellambito della varietà popolazione gruppi di individui (biotipi) che differiscono anche notevolmente tra loro. Vini che assumono denominazioni diverse nellintero arco siliceo delle Alpi occidentali. Deve il suo nome probabilmente allabbondante presenza di pruina sulla buccia degli acini maturi al punto da farli sembrare coperti dalla nebbia. Altra attribuzione dellorigine del potrebbe essere dovuta alla tardiva maturazione delluva con successiva raccolta in periodo di nebbia autunnale Notizie certe di questo vitigno si hanno a partire dal inizio del Trecento (De Crescenzi 1303) e successivamente in numerosi documenti che attestano leccellenza di questo vitigno nelle zone di coltivazione, dalle Langhe, alla provincia di Aosta, Vercelli ed alla Valtellina, ed in epoca recente nellOltrepò pavese (Acerbi 1825 e Di Rovasenda 1872).
Non mancano spiegazioni più fantasiose come quella data da Croce, gioielliere di casa Savoia, che voleva nebbiolo derivasse per trasposizione di lettere, come nobile.
La leggenda: una volta viveva un santo monaco tutto preghiera e lavoro. Coltivava nel suo orticello qualche rapa ed una piccola vigna di poche viti che gli davano appena una botticella di vino scadente. Un mattino, affacciatosi alluscio della capanna, il monaco non riuscì a vedere il campicello, nascosto da una fitta coltre di nebbia. « Così vuole il Signore - si disse il santuomo; - Egli mi avverte che dedico troppo tempo a appare lorto e trascuro la preghiera e il monaco zelante passò tutto il giorno inginocchiato recitando orazioni e la nebbia a sera si diradò, permanendo fittissima in fondo allorto dove crescevano le viti
Sia fatta la Sua volontà - disse il monachello - il Signore mi fa sapere che un suo servo non deve bere vino, ma accontentarsi di acqua pura.» Obbediente agli ordini celesti, il buon monaco si limitò a mangiare rape, innaffiando il magro pasto con acqua di fonte, sempre assorto in preghiera. Così trascorsero linverno, la primavera e lestate. Quando arrivò il tempo della vendemmia, il monaco contemplò il suo orto, e vide risplendere la vigna di una luce abbagliante. La nebbia più che dissolversi, sera quasi adagiata sugli acini maturi, che ne risplendevano come perle. Nei Piaceri della tavola, uno studio del Cougnet su banchetti piemontesi in epoca medioevale, si legge che già allora il Nebbiolo aveva un certo nome. Giuseppe Giacosa lo elenca tra i preferiti alla tavola dei castellani della Vai dAosta e il bolognese Pier de Crescenzi, che fu giudice ad Asti per alcuni anni, lo nomina elogiandolo nel suo trattato dellAgricoltura, scritto agli inizi del 300. Nel secolo successivo Aimone di Romagnano, vescovo di Torino, si faceva spedire botti di nebbiolo, detta latinamente nebolium, in luogo dei canoni daffitto per le terre di proprietà della Chiesa e il vescovo di Vercelli chiedeva 18 bottali di buon vino allanno come tassa per il bosco e la baraggia di Saluggia.
Alpi Retiche dal Brennero allo Spluga e Lepontine fino al Sempione
La riva destra dellAdda è pettinata da lunghi solchi di terrazzamenti creati, nel corso dei secoli, dai valligiani che hanno portato a spalla il terreno necessario per coltivare la vite in uno scenario considerato patrimonio dellumanità. I vigneti, sorretti da muretti in pietra a vista, sono maggiormente composti dal vitigno detto chiuascha (più vinaccia, per la sua maggior resa) italianizzato in chiavennasca, sinonimo del nebbiolo che dona i vini: Valtellina, Grumello, Inferno, Sassella e lo Sfurzat. Tra le attività tradizionali valtellinesi un posto di rilievo è occupato dalla escavazione e dalla lavorazione della pietra ollare. Usata come materiale da costruzione, deve la sua fama soprattutto alla produzione di laveggi. In uno scritto del 1746 si legge: ...in queste pentole di pietra i cibi cuociono più in fretta e meglio che in altre fatte in ottone, rame o altro metallo; inoltre, i cibi mantengono la loro naturale fragranza e non vengono inquinati da sapori estranei. Un arco punteggiato da manieri, castelli e palazzi, chiese e pievi, case e baite: solide costruzioni protette da strati di beole: che prendono il nome da Beura: borgata in Valdossola; ma passate ad indicare, in tuffo il territorio alpino, le lastre piane e sottili ottenute dalle rocce ricche di mica che si fessurano, facilmente e che prendono il nome di piode quando vengono anche usate per cuocere le carni e le verdure alla piastra
Granito di San Fedelino
Roccia magmatica costituita da quarzo, feldspati, muscovite, biotite. Spazialmente associato alla parte occidentale del Plutone di Val Màsino-Bregaglia, costituisce un episodio magmatico ben distinto. Prende il nome dal piccolo oratorio proto romanico di San Fedelino (X secolo), eretto nel punto ove il Fiume Mera sbocca nel Lago di Mezzola. Le cave attuali sono ubicate lungo la S.S 36, in prossimità di Novate Mezzola. Questultimo è il toponimo di riferimento con il quale gli studiosi stranieri (soprattutto elvetici) denominano il granito, in base alla distribuzione degli affioramenti. La costruzione della ferrovia Sondrio - Milano, ultimata nel 1895, accrebbe il numero delle cave presso Novate.
Furono gli scalpellini della Val dlntelvi, provetti cavatori, ad introdurre la tecnica chiamata carbonera che consisteva nel fare, a forza di braccia, dei sottili fori nella roccia, lunghi sei - sette metri, utilizzando degli stampi (scalpelli a forma di lancia). I fori venivano poi riempiti di polvere da sparo, ben compattata da un caricatoio chiamato pasfuraal per la sua somiglianza col pastorale vescovile. A Milano, il Corso di Porta Romana fu la prima strada, con pavimentazione in ciottoli, ove furono posate le trottatoie, ovvero le due strisce di granito predisposte al passaggio di carri e carrozze, a protezione del selciato. Per la pavimentazione delle vie furono impiegati, in un primo tempo, blocchi rettangolari allineati su due file circondate da un acciottolato, in seguito blocchi più piccoli di forma poligonale per ricoprire, in file a disposizione diagonale, Iintera sede stradale.
Il San Fedelino fu inoltre utilizzato per paracarri, cordoli per marciapiedi, ponti e volte di gallerie. Questo granito, famoso per la sua compattezza, è stato definito come standard internazionale di riferimento per la prova di usura in laboratorio, stabilendo il suo coefficiente di abrasione come valore 1. Limpiego è limitato alle cordonature ed ai lastricati stradali di Milano dove si dimostrò più resistenti del granito di Baveno.
Alpi Pennine dal Passo del Sempione al Col Ferret
Granito di Baveno rosa e bianco Montorfano
I primi dellOttocento sono stati caratterizzati da diffuse applicazioni di granito di Baveno, nelle sue varie tonalità, utilizzato per colonne, zoccolature, scalinate, portali. La presenza del fiume Toce, in gran parte navigabile, ha permesso di ovviare alle oggettive difficoltà di trasporto dei blocchi estratti ed ha consentito ai materiali ossolani di raggiungere città relativamente lontane. Milano è la città che evidenzia un maggior utilizzo dei materiali ossolani ed in cui si ritrova luso di materiali differenti in periodi diversi. Con letà Spagnola, nel secolo XVII, si sviluppa anche nel milanese luso di graniti del lago Maggiore, sfruttati prevalentemente per la costruzione di colonne tanto che alla meta dellOttocento, il Cassina stimava che ve ne fossero in opera circa 37,000. Il granito di Baveno, le cui cave sono attive fin dallinizio del secolo scorso, e stato uno dei materiali che trova maggior riscontro nella capitale lombarda. Lo si può vedere utilizzato, assieme al Bianco di Montorfano, nel porticato del Lazzaretto. In granito di Baveno sono anche le colonne del cortile della Pinacoteca di Brera, quelle del Senato, quelle del Cortile del Seminario di Corso Venezia e dellOspedale Maggiore (ora sede dellUniversità Statale di Milano). Questo granito, nelle sue varie tonalità e stato utilizzato anche in edifici religiosi come S. Maria alla Porta e SantAlessandro. Ancora in granito di Baveno sono due colonne di 11 metri e mezzo nella controfacciata del Duomo, nonché la gradinata. Il rosa di Baveno e inoltre visibile nella parte esterna del Palazzo Serbelloni e nella chiesa di San Carlo con le sue 36 colonne. In periodi successivi e stato utilizzato come elemento strutturale di facciate associato a sfondi intonacati, come nel Teatro alla Scala, o quale pavimentazione, osservabile in Corso Vittorio Emanuele a Milano. Si è fatto invece uso di Granito Bianco nella chiesa di SantAngelo e nei chiostri del convento di San Vittore, oggi Museo della Scienza e della Tecnica. Quando la Valdossola sta per aprirsi nel Verbano, ecco ergersi una piramide solitaria, alta più di cinquecento metri: il Montorfano: monte solitario biancheggiante di granito largamente usato in edilizia e per ottenere le colonne che nobilitano le facciate di chiese e palazzi lavorano nei mulini e nei frantoi . Milano è la città che evidenzia un maggior utilizzo dei materiali ossolani ed in cui si ritrova luso di materiali differenti in periodi diversi.
Serizzo
Durante letà Comunale ledilizia milanese ha basato il suo sviluppo principalmente sulluso congiunto di laterizi e serizzo ossolano nella varietà a grana medio-fine o ghiandonata.
Questi materiali, forse in gran parte di riutilizzo si riconoscono in colonne, capitelli o conci in varie chiese come quella di San Amborgio, di San Simpliciano, di San Eustorcio, nel Palazzo della Ragione. Letà viscontea conferma luso del serizzo e del ghiandone che vengono utilizzati nella Porta Nuova, nella Porta Ticinese e nella costruzione della Casa Borromeo. Serizzo ancora nella parte muraria strutturale del Duomo, dove rivestimenti, decorazioni architettoniche e statuarie sono state eseguite invece nel noto Marmo Rosa di Candoglia. Il serizzo è stato utilizzato anche per la costruzione delle Torri del Castello Sforzesco, con apprezzabili locali inserti di marmo ossolano, forse Candoglia. I primi dellOttocento sono stati caratterizzati da diffuse applicazioni di granito di Baveno, nelle sue varie tonalità, utilizzato per colonne, zoccolature, scalinate, portali. La presenza del fiume Toce, in gran parte navigabile, ha permesso di ovviare alle oggettive difficoltà di trasporto dei blocchi estratti ed ha consentito ai materiali ossolani di raggiungere città relativamente lontane. Unidea affascinante ha portato nel maggio 2007 otto barche a remi in quattro tappe dalle cave di Candoglia del marmo del Duomo di Milano nel cuore dellOssola fino alla Darsena di Porta Ticinese. Il gruppo di sportivi e disceso lungo il Toce ed ha percorso tutto il Lago Maggiore, toccando paesi caratteristici come Pallanza, Stresa, Lesa ed Arona; da qui le barche hanno continuato il tragitto alla volta di Sesto Calende, imboccando il Ticino, per poi trasbordare nel Canale Villoresi fino a raggiungere Castano Primo e Turbigo e da lì, navigando lungo il Naviglio Grande attraverso paesi bellissimi come Boffalora, Robecco e Gaggiano, sono giunte trionfalmente alla Darsena di Milano. Dato il successo ottenuto dallidea nata nel maggio 2007, nel 2008 è stata realizzata la seconda edizione della vogata non competitiva, questa volta partita dalle cave utilizzate per estrarre il marmo servito per la costruzione dellArco della Pace di Parco Sempione a Milano. Una delegazione, accompagnata dalla Fanfara degli Alpini di Intra, ha accompagnato in tram gli sportivi, attraversando Milano fino allArco della Pace. Viacolmarmo ancora una volta, ha evidenziato limportanza storica e la bellezza del percorso storico dei barconi abbandonato oramai da decenni, con lo scopo di recuperarlo per offrirlo ad un turismo sportivo che dia maggiore importanza ai territori attraversati, alla loro storia ed ai magnifici paesaggi naturali ancora intatti.
Nei pressi di Sambughetto, in Valle Strona, si trova la Grotta delle Streghe, la più lunga dellintera provincia Verbano, Cusio Ossola; ricca di citazioni letterarie. Si narra che le streghe birichine, chiamate faj, tendessero un filo fino al campanile del paese sul quale ballavano danze macabre con corvi, civette e gufi. Questa grotta, preziosa meta degli speleologi e fonte ispiratrice di variopinte leggende per la popolazione locale, si sviluppa per 730 m. di lunghezza e con un dislivello di 44 m., si articola in pozzi e corridoi, e offre spettacolari stalagmiti di sabbia, alcune concrezioni calcaree e un piccolo ruscello ipogeo. Scavata nel marmo bianco presente in abbondanza nella zona dove si cava il pane dai sassi da quei sassi che venivano scavati dai fianchi delle montagne nellestate, quando le condizioni atmosferiche lo permettevano, e venivano portati a valle su enormi slittoni fatti scivolare sui pendii morbidi di neve.
La cava, ubicata nella media Valle Strona nei pressi dellabitato di Sambughetto: ha fornito il marmo di valle Strona: roccia metamorfica di colore grigio, grana grossolana priva di scistosità: lo stesso del Marmo di Candoglia.
Limpiego di questo marmo si sviluppò nel XX secolo soprattutto per lastre di rivestimento delle facciate; Iesempio principale sono i rivestimenti esterni del palazzo di Giustizia di Milano dellarchitetto Marcello Piacentini. La statua della Giustizia, nel cortile del Palazzo, scolpita da Attilio Selva in porfido rosso, ha il volto e le braccia in marmo di Vallestrona
Sarebbe interessante rendere questi marmi protagonisti di un discesa fluviale che facesse seguito alle precedenti regate dedicate al marmo di Candoglia destinato al Duomo di Milano e di Crevola per lerezione dellArco della Pace. Con il nome bettelmatt si identifica fin dal Xlll secolo, epoca della colonizzazione walser della fascia subalpina, un formaggio di eccellenza che veniva utilizzato come merce di scambio, per il pagamento di canoni daffitto o concessioni dalpeggio oppure tasse, ma non solo. Il nome Bettelmatt, infatti, pare derivi da battel che significa questua, quindi era senzaltro utilizzato per forme di beneficenza, Iunione a matt, che in tedesco signifca pascolo, rende chiaro il signifcato del nome in: pascolo della questua Si produce in sette alpeggi della Valle Antigorio-Formazza nei Comuni di Formazza e Premia. I primi pendii a essere interessati alla viticoltura furono quelli di Vanzone e di Viganella, i terreni siti nelle frazioni più alte di Varzo, a Premia, e persino nellaltopiano vigezzino. I centri vinicoli più rinomati nella storia del vino ossolano furono Caddo, Calice, Trontano, Masera, Montecrestese e Crevoladossola: In tali località il vitigno più diffuso era il Nebbiolo, chiamato Prunent, le cui caratteristiche erano quelle di possedere un elevato grado zuccherino e una buona resistenza alle malattie. Accanto al Nebbiolo si potevano trovare altre varietà di vitigni meno pregiati come Clinto e Croatina. Il leggendario prunent è il tipico vino locale la cui presenza in Ossola è storicamente accertata sin dal 1300. Ha caratteristiche molto tipiche legate al territorio e al vitigno. Si presenta di colore brillante, granato con forti riflessi aranciati. Il termine Prúnent richiama la radice semantica di Prugnolo. Al profumo intenso, ampio ed avvolgente segue un sapore potente, pieno e giustamente tannico, armonico e speziato al retrogusto. Ben si abbina ai secondi piatti importanti di carne e selvaggina, ai formaggi saporiti. Zona di produzione: Uve provenienti in parte da un antico vigneto situato nella frazione di Pello ( in parte da vigneti coltivati dai soci dellAssociazione Produttori Agricoli Ossolani. Vitigno che, viste le sue affinità con il Nebbiolo, è da considerarsi un suo clone. Il vino ha caratteristiche molto tipiche legate al territorio e al vitigno. Si presenta di colore brillante, granafo con forti riflessi aranciati. Al profumo intenso, ampio ed avvolgente segue un sapore potente, pieno e giustamente tannico, armonico e speziato al retrogusto. Ben si abbina ai secondi piatti importanti di carne e selvaggina, ai formaggi saporiti. Plinio definisce arbustum gallicum, il sistema di coltivazione della vite, sconosciuto ai romani e praticato nella Gallia cisalpina dalle popolazioni di origine celtica che conservavano il vino in grandi botti in legno con una tecnica estranea alla pratica enologica greca e a quella centro-italica.
I testi antichi cominciano a parlarne solo in riferimento alla Gallia Cisalpina dove i popoli celtici ebbero una parte di primo piano nellelaborazione e diffusone dellarte del bottaio. Allalba e al tramonto le cime del Monte Rosa, il secondo dellarco alpino dominato dai 4634 metri della Punta Dufour, si tingono di rosa, tuttavia il nome del massiccio deriva da rouja, che nella lingua locale significa ghiacciaio. Sette sono le valli che nascono dal massiccio del Monte Rosa; Matteral con Zermatt e Saastal in Svizzera. La Valle Anzasca e la Val Sesia degradano sul versante piemontese; dove si coltivano le viti con gustose variazioni sul tema del nebiolo che si esprimono nei vini: unara sacra a Bacco è stata rinvenuta a Ghemme dove si produceva lAgamium citato da Plinio il Vecchio; Fara, piccolo gioiello dellenologia piemontese; Boca, Lessona, e Caramino. Il nome Spanna con il quale il Nebbiolo è chiamato nel novarese, consente di identificare il Nebbiolo con la Spionia vitigno citato da Plinio e coltivato nel ferrarese. Il termine Spionia deriva da spinus (o prugnolo) il cui frutto è ricoperto da una spessa pruina e la sinonimia Spanna-Nebbiolo potrebbe essere motivata appunto dalla pruina sulla buccia Grande è il vino di Gattinara: molto apprezzato anche per merito del Cardinale Mercurino Arborio, che, sul finire del Cinquecento, offriva questo vino dal sapore vellutato con finale amarognolo ai pranzi diplomatici che organizzava alla Corte di Carlo V Carlo Porta esalta il Gattinara nel suo Brindes de Meneghin scritto in occasione del matrimonio Napoleone con Maria Luisa dAustria celebrato a Parigi nellaprile del 1810
Presto, ovej, de la cantinna!
Porteen scià ona caraffinna
De quell fin de Gattinara:
Vera gloria de Novara.
Quest lè on vin, Iè on vin de scior
chel pò vess bevuu magara,
anch dal primm Imperator.
Alpi Graie dal Col Ferret al Colle del Moncenisio A occidente del Monte Rosa scendono la Valtournanche, la Val dAyas e la Val del Lys o di Gressoney sul versante sinistro-della Val dAosta Risalendo la Valle dAosta il freddo si fa pungente e induce a bere vino robusto come il Donnaz, giammai da soli, ma à la ronde, in cerchio passando la coppa dellamicizia con i suoi beccucci dai quali ognuno beve la lunga sorsata mentre gli altri, nellattesa del loro turno, cantano in coro: les valdotains sont pas si fous,- de se quitter sans boire un coup de boire un coup cest agréable - den boire deux ces encore miex. I valdostani non sono tanto matti da lasciarsi senza bere un bicchiere. Bere un bicchiere è gradevole ma berne due è meglio ancora.
Da non confondere la coppa dellamicizia provvista di beccucci con la grolla: calice che prende il nome dal graal La grolla
La Valle dAosta ha per simbolo un vaso potorio celebre ed unico: la Grolla. Dalle origini antichissime il suo nome sembra derivi da Graal o Santo Graal: il calice in cui avrebbe bevuto Gesù durante lultima cena. Unaltra versione indica il graal (dal latino medioevale gradalis, catino, recipiente, vaso) il vaso nel quale Giuseppe dArimatea, che aveva chiesto ed ottenuto da Pilato il corpo del Salvatore per dargli sepoltura, aveva raccolto il sangue stillante dalle piaghe di Cristo. (questo è quanto si legge in uno dei poemi scritti da Chrétien de Troyes intorno al 1220, dal titolo Estoire dou Graal.
Leggende che si ci riallacciano al mondo fantasioso della poesia cavalleresca ed alla Tavola Rotonda: Iideale istituzione eroica sorta alla corte di Artù, re dei Bretoni. Re e corte assunti dalla letteratura medioevale a modello di perfetta ed inimitabile cavalleria per la ricerca del Santo Graal. Le tradizioni del Graal passano i Pirenei e le Alpi e colpiscono la fantasia dei Valdostani, che decidono di concretizzare il sacro vaso creando la caratteristica coppa di legno, profonda e panciuta, con un gambo corto ed un coperchio. La sua capacità è di circa due litri e viene usata da secoli per offrire il vino durante i banchetti e nelle grandi occasioni. Le bevute si fanno a turno, « da bocca a bocca » (à la ronde, dicono), come ai tempi della Tavola Rotonda.
E, come ai tempi di Re Artù, la grolla, colma di vino, viene offerta allospite per il primo sorso. Ben nota è la « Grolla doro offerta ogni anno ad attori del cinema in occasione del Gran Premio di Saint-Vincent. Coppa dellamicizia.
Ricavata per lo più da legno di melo o di pero, lavorata in modo stupendo, con intagli e rilievi che presentano fiori, frutta, ghirlande e, talvolta, anche graziose scene pastorali è la coppa dellamicizia, chiamata impropriamente grolla . La coppa dellamicizia è oggetto di una cerimonia diniziazione: si versa uno strato di zucchero sul bordo del foro centrale e si inumidisce con grappa cui si dà fuoco; quindi si chiude con lapposito coperchio sigillato dallo zucchero fuso. La coppa deve girare in senso antiorario tra i commensali, che, a turno, bevono dagli appositi beccucci, da 4 a 8, caffè valdostano zuccherato, arricchito con grappa e aromatizzato con scorzette di arancia e limone. Attenzione alle prime golate, perché il caffè risulta rovente e dal sapore molto deciso. Il trucco: per non rovesciare malamente il contenuto della coppa dellamicizia, quando e piena, sta nellinclinarla con precauzione e tappare con le dita i due beccucci vicini a quello che sintende utilizzare per bere: così si evitano spiacevoli fuoriuscite di liquido bollente sul tavolo o sugli abiti. Ogni sorsata è preceduta da un brindisi, un augurio, un motto affettuoso ai compagni di bevuta. Lultimo deve scolarla fino in fondo: porterebbe sfortuna lasciarne un sorso imbevuto.
A Tito Livio dobbiamo le notizie sulla nascita di Milano, tratte dal V libro della Storia di Roma dalla fondazione, iniziata su richiesta di Ottaviano Augusto tra il 27 e il 25 a.C. Mentre a Roma regnava Tarquinio Prisco, (616-579 a.C.) il supremo potere dei Celti era nelle mani dei Biturigi; questi mettevano a capo di tutti i Celti un re. Tale fu Ambigato, uomo assai potente per valore e ricchezza, sia propria che pubblica, perché sotto il suo governo la Gallia fu così ricca di prodotti e di uomini da sembrare che la numerosa popolazione si potesse a stento dominare. Costui, già in età avanzata, desiderando liberare il suo regno dal peso di tanta moltitudine, lasciò intendere che era disposto a mandare i nipoti Belloveso e Segoveso, figli di sua sorella, giovani animosi, in quelle sedi che gli dèi avessero indicato con gli auguri .
Attraverso i monti Taurini e la valle della Dora, Belloveso, con Biturigi, Arvemi, Senoni, Edui, Ambani, Camuti, Aulerri varcò le Alpi nessuno le aveva ancora valicate sconfitti in battaglia i Tusci non lungi dal Ticino, avendo sentito dire che quello in cui si erano fermati si chiamava territorio degli Insubri, lo stesso nome di un pagus degli Edui, accogliendo laugurio del luogo, vi fondò una città che chiamarono Medhelan, da cui Mediolanum latina.
A Carema, nel circondario di Ivrea, i contadini hanno costruito e ricostruito con caparbietà terrazzamenti che ricordano quelli della Valtellina, e sui quali allignano le vigne, tenute da pergolati sostenuti da colonnine tronco coniche, molte in granito, veri condensatori che rilasciano, nelle fredde notti autunnali, il calore del sole accumulato durante la giornata. Luva di nebbiolo è chiamata picotener per il suo picciolo tenero. A proposito dei vini dlnvreja, cioè di Carema, Sante Lacerio: bottigliere di Papa lll di casa Farnese, grande estimatore di vini, annotava che il Pontefice ne beveva volentieri nello autunno, perché resistevano alla state ed il caldo li maturava, sicché è unottima et perfetta bevanda da Principi e Signori. Andrea Bacci nel suo libro del 1597 De naturalis historia vinorum ricorda che il Carema allietava le mense dei duchi di Savoia e veniva spedito a Roma dove era grandemente apprezzato dai pontefici e dai cardinali.
Alpi Cozie dal Colle del Moncenisio al Colle della Maddalena
Al di fuori della regione monregalese, sempre nel Piemonte meridionale e nella provincia attuale di Cuneo, ebbero rilevanza storica i marmi della Valle Gesso, cioè i marmi di Valdieri nelle varietà bianco, bardiglio, cipollino dorato e cipollino verde, rocce di grado metamorfico basso rappresentanti la copertura sedimentaria del Massiccio dellArgentera. Tre metri sotto i tremila e trecento. Tre, trecento, tremila: non è difficile, anche per chi non ama cifre e dati, mandare a memoria la quota altimetrica dellArgentera. Con quei suoi 3.297 metri è il tetto delle Alpi Marittime, il punto culminante della catena alpina compresa tra il gigante Monviso e i rilievi che si affacciano sul Tirreno. Una muraglia, più che una singola vetta: non a caso spesso si parla di Serra dellArgentera, rifacendosi allinsieme di una barriera che nel suo solo tratto centrale, quello compreso tra la Cima Genova a sud e il Monte Stella a nord - una cresta quasi costantemente al di sopra dei 3.200 metri senza profondi intagli fra una sommità e laltra - ha uno sviluppo di circa un chilometro. Questa poderosa architettura precipita a occidente con una parete di ottocento metri, solcata da speroni e canali. Si ricorda che il cipollino ebbe molti usi allestero (Municipio di Londra, Palazzo Reale a Bangkok, Circolo Italiano a Buenos Aires, Palazzo del Governo allAvana) .
La valle del Tanaro fornisce marmi bianchi statuari, neri, venati tipo portoro e di colorazioni diverse tra cui i Gridellini di colore rosa/lilla i persighini tendenti al rosso; il fior di pesco il bianco e il nero di Frabosa. Sulle rive del Tanaro si trovano i due più grandi figli del nebiolo: Il Barolo che ha una tradizione dovuta allintuizione della marchesa Giulia Falletti di Barolo e del conte Camillo di Cavour che provarono a far vinificare luva Nebbiolo con nuove tecnologie. Il successo fu immediato e il Barolo fu entusiasticamente adottato dalla Corte dei Savoia diventando il vino dei Re. Carlo Alberto acquistò la tenuta annessa al castello di Verduno per disporre di una sua riserva personale di barolo e Vittorio Emanuele II acquistò una podere a Barolo che venne poi chiamato Cascina del re. Sullaltra riva del Tanaro i Romani chiamarono Barbarica Silva il luogo dove avevano espiantato le querce sacre a Marte per piantarvi le viti; da allora molto tempo è passato ed il Barbaresco che vi si produce è stato definito pieno di vita dal Marescalchi; mentre il Dalmasso lo considera: vigoroso, pieno di nervo, dun Profumo squisito che ricorda la violetta
Giovanni Staccotti
dopo molti anni come dirigente di una nota multinazionale degli utensili diamantati è ora giornalista pubblicista e consulente marketing e comunicazione della cultura gastronomica. e curatore del centro di educazione alimentare del comune di Milano e dellAntica Credenza di SantAmbrogio.