Attraverso la storia dei membri di una delle più importanti famiglie di imprenditori del marmo, il volume ricostruisce il processo di trasformazione di unattività e segue le metamorfosi della città, da capitale dello Stato Pontificio a capitale dello Stato Italiano. La ricerca svolta da Simonetta Ciranna, articolata con contributi specifici affidati a Monica Capalbi, Marina Docci, Alessia Pompei, Elena Piselli, Simona Salvo, Patrizia Gori, Nicoletta Cardano, riordina un quadro complesso di relazioni e di microstorie, che restituisce con vivezza i caratteri di un mestiere che ha radici profonde nella storia e nella forma di una città quale Roma. <br>LOttocento è per Roma un secolo di profonde trasformazioni in cui la città, da potenziale capitale dellimpero napoleonico, vive lalternanza tra la restaurazione e la breve esperienza repubblicana per ritrovarsi a metà del secolo a rafforzare la sua identità di centro e roccaforte della cristianità e poi, ancora, a reinventarsi come capitale moderna di una giovane nazione. Il lungo e analitico lavoro di ricerca che sottende il presente volume mette a fuoco, intreccia e ricompone storie diverse attraverso il filo ininterrotto delluso e il riuso delle pietre e dei marmi nei cantieri romani, e non solo, del XIX secolo. Da un lato la ricostruzione delle vite professionali dei principali componenti di una delle più note famiglie di lavoratori del marmo dellOttocento, i Martinori; dallaltro, gli approfondimenti mirati alla comprensione del cantiere, delle lavorazioni, della gestione e della crescita economica e sociale delle imprese Martinori, protagoniste in molte della trasformazioni in atto nel campo della tecnologia, dellorganizzazione del lavoro, del contesto politico e culturale della città. La memoria della città come centro produttivo è un tema di particolare rilevanza per la Camera di Commercio di Roma, consapevole della centralità del rapporto tra lavoro e luogo urbano di cui la sua sede, il palazzo di piazza di Pietra che ingloba il Tempio di Adriano, ne è testimonianza prestigiosa e unica. Con questa pubblicazione si sottolinea ancora una volta il nesso indissolubile tra Roma e Cultura, valore la cui rilevanza socioeconomica lIstituzione camerale capitolina promuove in tante sue attività.
UN CAPITOLO PER ENTRARE NEL MONDO OTTOCENTESCO DEL MARMO ROMANO
Cosi scrive Alessia Pompei coautrice del libro nel capitolo dedicato alla famiglia Martinori e lUniversità degli Scalpellini e Marmorai di Roma. Le notizie riguardanti la famiglia Martinori si rintracciano nellarchivio dellUniversità degli Scalpellini di Roma a partire dalla metà dellOttocento, in coincidenza con la fase di complesse rivisitazioni e importanti trasformazioni della struttura corporativa propria del periodo. A seguito, infatti, del motuproprio di Pio VII del 16 dicembre 1801, lUniversità degli Scalpellini fu abolita, come le altre corporazioni romane, ma sopravvisse come rappresentanza della categoria nella Compagnia dei Santi Quattro Coronati, il sodalizio religioso sorto alla fine del XVI secolo per volontà stessa dellUniversità con funzioni di culto e assistenziali. Al momento della ricostituzione dellUniversità nel 1860, con approvazione dello Statuto, lamministrazione dei due organismi risulta comune e le cariche, in particolare quella di camerlengo, <br>sono ricoperte dalle medesime persone. In questo contesto si inserisce a pieno titolo la famiglia Martinori, i cui membri sono elencati nel Libro degli Associati: Giacomo Martinori, scultore, iscritto dal 1806 e deceduto nellagosto 1837; Carolina Pittarelli in Martinori, moglie di Giacomo, iscritta dal 1844; Fortunato Martinori, architetto, iscritto dal 1843; il cavalier Pietro Martinori, scalpellino, iscritto dal 1843, conseguì la patente di capo darte il 12 maggio 1870 e fu governatore dal 1867 al 1890, anno della sua morte; infine Domenico Martinori scalpellino, iscritto dal 19 marzo 1853, governatore nel 1856, anchegli capo darte dal 1870 e deceduto nel 1898. A questultimo è indirizzata la lettera del 12 marzo 1853 da parte della Venerabile Arciconfraternita dei Quattro Martiri Coronati dei Scalpellini di Roma con la quale gli si comunica che nella Congregazione tenuta il 27 febbraio è stato ammesso come Fratello. <br>I documenti darchivio, mentre accennano raramente e in modo generico ai membri della famiglia, menzionati come fratelli Martinori, delineano invece nettamente la parabola ascendente della carriera di Pietro allinterno dellUniversità: dal suo ingresso come scalpellino agli incarichi direttivi del sodalizio e conseguentemente allacquisizione di un ruolo primario nelle trattative con le istituzioni sulle questioni relative allattività professionale e ai lavoratori. Negli anni 1850-1853 svolge la funzione di camerlengo, una carica di amministratore finanziario e patrimoniale, responsabile dei libri dei rendiconti dellUniversità, che riveste, con rinnovo dellincarico, anche negli anni 1853-1856. Le voci di bilancio sono prevalentemente di carattere religioso e devozionale. Tra le entrate compaiono le somme versate dai fratelli Martinori e dai lavoranti di Martinori, mentre una nota testimonia lofferta di prestazioni dopera il fratello Pietro Martinori ha stuccato tutta la facciata della chiesa, fatte le tavole per le arme e fatto un offizio. <br>Il fratello Domenico ha fatto un offizio. Questi lavori non esonerano, tuttavia, Pietro dal versamento annuo obbligatorio per la celebrazione delle messe, come si deduce dalla ricevuta di pagamento datata 8 agosto 1855. Tra le note di spesa, oltre a quelle destinate alle funzioni religiose, ai lavori di muratura della chiesa, allacquisto di un organo, allesecuzione delle musiche in occasione della festa dei Santi Quattro Coronati e alla solenne festa di possesso del primicerio, il cardinale protettore dellUniversità, compare una giustificazione del 1853 relativa al pagamento per la stampa di 200 biglietti per la congregazione a favore di Pietro Pittarelli stampatore. Questultimo, prossimo con molta probabilità alla famiglia Martinori in virtù del matrimonio di Carolina Pittarelli con Giacomo Martinori, è citato nuovamente con la qualifica di litografo nelle note di spesa del 1855 per la stampa di 100 circolari. Parallelamente agli aspetti cultuali della Confraternita, a partire dagli anni Sessanta, Pietro si dedica con crescente attenzione alle questioni prettamente professionali dellUniversità. I documenti restituiscono un profilo sempre più definito del pratico e ambizioso scalpellino avviato allimprenditoria, che già qualche anno prima del conseguimento della patente di capo darte nel 1870, propone di modificare le modalità di assegnazione ai capi darte dei giovani lavoranti in cerca di occupazione. Il 23 luglio 1864 Pietro Martinori invia da Marino una lettera al governatore Giuseppe Leonardi, Capo dArte Scalpellino allArco di Pantano a canto il Pizzicarolo 1° Piano, Roma per proporgli quello che, in una nota manoscritta aggiunta sotto lindirizzo, viene definito il progetto Martinori.
Questo consiste nellideazione di una nota registrata e fissa in sagrestia in cui sono riportati tutti i lavoranti disoccupati, una sorta di lista di collocamento accessibile ogni domenica mattina dalle 9 alle 11 ai giovani intagliatori, scalpellini, lustratori e segatori che vogliano iscriversi indicando la professione, il domicilio e da quale Capo dArte siano stati licenziati evitando in questo modo di presentarsi direttamente a chiedere lavoro e a spiegare i precedenti e consultabile da tutti i capi darte per conferire gli incarichi. Si tratta di uniniziativa che, lungi dallintrodurre alcuna graduatoria, intende favorire in particolar modo i capi darte, offrendo loro la possibilità di scegliere liberamente la manodopera evitando richieste insistenti. Il progetto Martinori è solo un tassello di un più vasto piano di rilancio dellattività professionale degli scalpellini capi darte di cui il cavalier Pietro in primo luogo si fa portavoce. Presentata infatti nel luglio 1864, la proposta si inserisce nellacceso dibattito tra i lavoranti dellUniversità e i capi darte padroni di bottega, documentato ampiamente negli anni 1864-1867 dal fitto carteggio con il Ministero del Commercio e dei Lavori Pubblici. A questultimo si rivolgono gli artisti in genere di segatori di Pietre con una lettera del 18 luglio 1864 denunciando laggravamento della crisi economica in seguito alla riduzione della tassa sullimportazione dei marmi esteri, misura ritenuta vantaggiosa per i padroni che diminuiscono la mercede ai poveri artisti. Di contro invocano il ripristino delle vecchi tariffe e chiedono che, in caso contrario, non si consideri insubordinazione il rifiuto di manodopera. Alla lettera è allegato un elenco di oltre duecento nomi tra scalpellini e marmisti di Roma in cui Pietro Martinori è definito Padronale, qualifica attribuita solo ad altri venticinque capi darte iscritti. Alla richiesta di informazioni precise in merito alle rimostranze dei segatori inviata dal Ministro Baldini segue la lettera di risposta dellUniversità del 21 agosto 1864, nella quale si fa riferimento allapplicazione del la legge del 26 ottobre 1864. Questultima comporta la riduzione del dazio dintroduzione per i marmi semigrezzi da bajocchi 50 per cento libbre a 50 per mille libbre e secondo la dichiarazione emessa dal Ministero delle Finanze, ha effetto pei marmi che sono semplicemente abbozzati e lasciati di subbia e non di quelli che avessero ricevuto un maggiore avanza mento di lavoro fino alla gradina stracca, pertinenti lambito dei lavori compiuti e non compiuti con il dazio di 4 scudi ogni 100 libbre. Sulla richiesta di un aumento della paga giornaliera avanzata dai segatori i consiglieri dellUniversità rimandano alle tabelle dei prezzi di lavoro stabilite precedentemente nel modo più conveniente, mentre riguardo ai dubbi sulleventuale danno alla categoria derivato dallintroduzione dallestero delle lastre di bardiglio ed altre pietre segate o spianate con frullone e delle così dette marmette, illustrano i vantaggi derivanti da questa disposizione. Il primo consiste nellaumento delle committenze pubbliche perché tali lastre servendo la maggior parte per lavori di Chiesa o del Governo vengono introdotte con privilegio nonostante il dazio proibitivo; il secondo nellincremento delle committenze private perchè con lesuberanza di lastre introdotte con privilegio i segatori sono impiegati non solo per le solite pietre di costruzione dello Stato, ma anche per squadrare, rifilare ed ornare le lastre estere per spartiti pavimentali, tavole, soglie ed in tanti altri lavori di decorazione La questione della riduzione del dazio continua a rappresentare, però, un forte motivo di attrito tra i capi darte e i lavoranti, i quali nel frattempo si organizzano nella Pia Unione dei Giovani Lavoranti Marmisti, nonostante la supplica che lUniversità il 14 dicembre 1865 indirizza a papa Pio IX per impedire che i garzoni si separino. Questi ultimi nel 1867 rivolgono unulteriore petizione al Ministero perché venga respinta listanza di Pietro Martinori di introdurre dallestero i marmi semigrezzi, aggiungendo che altra volta, circa tre anni indietro, lo stesso Martinori fece simile progetto. A tale petizione fanno seguito due documenti significativi: la risposta del Ministro Baldini, il quale afferma di non conoscere alcuna domanda presentata da Pietro Martinori bensì due atti estranei a questultimo, e la deliberazione dellAdunanza Generale del 31 marzo 1867, con la quale Pietro Martinori venne eletto governatore. Nel verbale delladunanza, oltre a emergere il consenso conquistato da Pietro tra i colleghi capi darte, viene esplicitata la motivazione: per debito di giustizia e per giustificazione del Martinori, lUniversità dichiarò erronea lopinione dei giovani lavoranti i quali affermavano il sul lodato Martinori istigatore dintrodurre le vasche, urne etc. lavorate di gradina stracca; e nello stesso tempo volendo attestare lalta stima che lUniversità conserva del Martinori, tanto pel suo merito che per lattitudine a promuovere i vantaggi dellarte degli Scalpellini, lo elegge a Governatore Primo Con sole dellUniversità medesima. Nella speranza che lE.V. voglia prendere in considerazione la proposta onde comporre i due ceti dellarte Lapicidaria. La nomina di Pietro a governatore segna linizio di un processo di atrofizzazione della confusa ma articolata struttura corporativa dellUniversità, testimoniato dalla durata stessa del mandato che coprirà un arco di tempo superiore a venti anni, contravvenendo anche alle disposizioni statutarie. Le ragioni di questo immobilismo sono da attribuire, oltre al già accennato vasto consenso di cui gode Pietro tra i capi darte, in virtù della difesa degli interessi della categoria, anche alle precarie condizioni generali in cui lUniversità versa in questo periodo, esplicitate nella relazione di Martinori dell11 luglio 1876 sullandamento dellUniversità. In questa dichiara che fin dallo agosto 1867 il sottoscritto Martinori Pietro venne nominato a Governatore e Console dellArc. dellUniversità dei Marmisti. A forma dello Statuto di detta Arciconfraternita in ciascun trienno devono rinnovarsi tutte le cariche, ma le attuali circostanze non permisero neanche ultimamente tali rinnovazioni. Dopo aver sottolineato gli sforzi compiuti durante la propria amministrazione per evitare un bilancio in passivo in circostanze finanziarie critiche, dichiara trovarsi impossibilitato, stante le moltissime sue occupazioni, di proseguire in tale onorevole incarico. La lettera di rinuncia di Martinori non sortisce però alcun effetto, Pietro rimane in carica e difficilmente si trovano candidati disposti a sostituirlo: ne è testimonianza la lettera con cui a distanza di un anno, il 6 maggio 1877, lo scalpellino romano Francesco Viti rifiuta la nomina a Governatore. Il lungo mandato di governatore di Martinori è caratterizzato, oltre che dallattenzione al bilancio, dallaumento delle misure di controllo dellattività professionale. Significativi a questo proposito sono due documenti che segnano linizio e la conclusione del suo incarico. Risale, infatti, al 1868 la lettera al Ministro del Commercio con la quale lUniversità propone di introdurre lobbligo delle patenti a tutti coloro che previo esame, vorranno intraprendere ed eseguire lavorazione a scalpellino. Ed in vero la necessità di queste patenti è demandata specialmente per garantire i committenti i quali il più delle volte oltre alla spesa duplicata hanno i lavori imperfettissimi sia nellesecuzione che nella solidità Come ulteriore garanzia chiede che, oltre ad assegnare ai Capi dArte le patenti desercizio, si rilasci quella per di far perizie per classificare i lavoranti a seconda della loro abilità e di rilasciare ad essi un documento che li abiliti ad esercitare la professione di scalpellino. Diciotto anni più tardi, a tutela degli interessi degli iscritti, Pietro invia una lettera allo scalpellino Emanuele Bazzi in cui dichiara di avere accertato la sua mancata iscrizione allUniversità e lo invita a desistere per lavvenire dal prender parte agli atti della nostra Arciconfraternita e specialmente dallindossare abusivamente il sacco per intervenire alle funzioni che si fanno dai Fratelli nel nostro Oratorio. Anche dopo la costituzione della Società Anonima Romana per lo Scavo e il Commercio di Marmi e Materiali da Costruzione e Decorazione, società per azioni nel cui statuto figura insieme ai capi darte Lorenzo Liverani e Filippo Lupi, Pietro Martinori non venne meno alla funzione di rappresentanza della categoria verso le autorità e di sostenitore dei diritti della stessa in occasione delle gare dappalto.
Questo è un solo capitolo del volume I Martinori Scalpellini, inventori, imprenditori dalla Città dei Papi a Roma capitale scritto da Simonetta Ciranna con i contributi di Monica Capalbi, Marina Dolci, Alessia Pompei, Elena Piselli, Simona Salvo, Patrizia Gori, Nicoletta Cardano.
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